06 Giugno 2021 - 4 luglio 2021

Vicenza, Chiostro San Lorenzo

Mostra fotografica di Massimo Saretta

“Il silenzio nel vuoto”

Il viaggio fotografico nella storia e cultura del territorio più bello del mondo per affascinare i visitatori con immagini che rimarranno dentro l’anima di ognuno di noi.

La mostra è ospitata nel Chistro di San Lorenzo che è parte di quel cuore pulsante di storia, cultura, civiltà e bellezza che rende Vicenza una delle perle nascoste del panorama artistico italiano.

Il Chiostro di San Lorenzo, a ridosso della Chiesa di San Lorenzo, luogo di culto cattolico di Vicenza, costruito alla fine del XIII secolo in stile gotico, nella sua versione lombardo-padana del Duecento. Si colloca nella centrale piazza San Lorenzo, lungo corso Fogazzaro, ed è stata officiata dai francescani conventuali fino al 2017.

Vicenza

La piazza dei Signori a Vicenza è così bella che vuota lo è ancora di più. Si chiama “dei Signori” ma è la piazza del Palladio, che qui ha inventato il suo manifesto più famoso dopo la Rotonda, quella Basilica che è diventata testo vivo di architettura, il matrimonio tra equilibrio e movimento, tra monumentalità, leggerezza ed efficienza: perché la Basilica era un edificio pubblico, il luogo delle adunanze e dell’amministrazione, insomma la sintesi della città. Lo è ancora, con quel suo gran tetto a carena di nave, verde per il rame ossidato a contendere l’azzurro del cielo. 

La Basilica è un modello, ma anche una modella: fotografata sempre, da tutti i lati, in tutte le stagioni, è la primadonna di un défilé palladiano che a Vicenza fa furore: palazzi palladiani ovunque, nelle vie che erano  di impianto romano e poi medievale, a cambiar grandezze, modificare con magnificenza la scala dell’abitato. Una lista lunga così, per la quale si arriva dal mondo per stupirsi e studiare,  per finire magari nelle sale del Palladio Museum, a palazzo Barbaran Da Porto. 

I vicentini da cinquecento anni sono stregati dalla loro piazza, fino quasi a temerla.

Nei secoli, l’hanno riempita poche volte. Nella quotidianità ci passano per attraversarla, chi si ferma sono i turisti con il naso all’insù. 

I vicentini, carattere che tende al chiuso, non la animano come si meriterebbe, se non nei giorni di mercato, giorni nei quali la piazza riceve e restituisce la vita. Altrimenti, si accontenta della sua bellezza. E infatti, dietro l’angolo, la statua di Andrea Palladio ha un’espressione pensosa, e non per il colombo appollaiato sull’illustre calvizie. Ma è bene sia così, perché la Basilica non può essere soffocata, e diremmo neppure troppo disturbata: basta a se stessa, starebbe bene ovunque, ma qui nel cuore di Vicenza sta meglio perché è la capofila di un discorso architettonico diffuso. E infatti in molti dicono – è facile – che il centro storico di Vicenza è come un teatro, quinte di pietra che si susseguono, niente a casaccio, tutto studio e proporzione.

Ma è un teatro vuoto? 

Durante il lockdown dava il meglio di stesso, visibile nella sua essenzialità, senza attori né pubblico. Normalmente, dalle quinte escono persone, l’animazione ravviva quegli edifici così prestigiosi da essere a volte severi: 

ma non palazzo Trissino che galleggia leggero, vuoto sotto, pieno sopra. L’animazione vicentina scalda le pietre e in pochi metri e pochi minuti mette i piedi nella storia lunga della città:  si percorrono il decumano (corso Palladio) e il cardo (Contrà Fogazzaro e Contrà del Monte) della città romana, le viuzze della città medievale, gli spazi di quella rinascimentale. 

Non accorgersene sarebbe un peccato. Quando c’era l’aristocrazia (adesso è economica, e s’è anche spostata in provincia) l’élite teneva a se stessa: talmente tanto da essere tiepida nei confronti della Serenissima e dei suoi nobilhomeni, ai quali s’era data nel 1404, e da essere percorsa da fremiti filoimperiali nonché filoluterani. 

Il senso e il luogo dell’identità di questa aristocrazia è stato il teatro, commissionato dall’Accademia Olimpica, e quindi Olimpico. Progetto di Palladio, ovvio, e realizzazione dopo la morte del maestro, di Vincenzo Scamozzi. 

È il primo teatro stabile coperto del mondo, nel 1994 l’Unesco l’ha dichiarato Patrimonio dell’Umanità. La scena è fissa, le vie prospettiche raffigurano Tebe, perché sul palcoscenico si rappresentavano commedie classiche.

Anche senza attori, il pubblico resta a bocca aperta. 

Paolo Coltro